11 novembre: S.Martino
"La nebbia agli irti colli
piovigginando sale"
Fin dal mattino. Umidiccio nell'aria, nelle case; poltiglia in terra, viscida, melmosa; atmosfera pesante un po' ovattata; grigiore ovunque, in cielo e nelle strade.
Pigra, quasi in attesa, trascorre la mattinata ed i cuori accende, nel desiderio.
Al tocco, il pranzo è fatto, in fretta; la gente è pronta.
Vie e viuzze si popolano, i vicoli rigurgitano, ruscelli umani si riversano nel quartiere, alla festa di S. Martino, ininterrottamente, per tutto il pomeriggio, fino a sera, da ogni parte.
Incollato alla mano di mio padre, percorro ansioso i "vicoli dell'abbondanza", lungo il magro torrente. Si chiacchiera per strada, siamo un bel gruppo: c'è il signor Virgilio, c'è il dottore, c'è il "sor Cencino", ci sono gli altri: la combriccola del babbo, quelli dello scopone della sera, lì da Solano. Si conoscono da anni, da sempre direi; sono allegri, bonari, sereni.
La svinatura
…..non è una giornata qualunque, non è una festa qualunque; oggi è il giorno della "svinatura": questa è la vera festa, la vera ricorrenza, nel suo contenuto essenziale.
Grandi scappellate e larghi sorrisi s'incrociano e rimbalzano dagli uni agli altri, sono "signori" di S. Antonio (la parte est della città dove abitavano, in prevalenza, nobili e ricchi), è vero, ma non disdegnano la plebe che li conosce e li stima. Oggi, poi, si sentono tutti eguali quelli che sono là, tutti "Sammartinari".
- dove andiamo prima, dalla "Nina" o dalla "Tota"? -
- Io passerei da "Caino" che ce lo deve avere bono -
- L'Erminia ci ha fatto sapere che ha un vino bianco delle vigne che fa "gozzo gullino", perché non passiamo prima da lei? -
Chi punta per l'una chi per l'altra osteria. La decisione alfine matura: prima dalla "Tota".
È un po' fuori mano, fuori porta; ma non conta. Il passo si accelera; la mano paterna stringe e tira, un po' più forte. Io mi adeguo, a malincuore: non ho scelta!
…..Percorsi i "vicoli dell'abbondanza" si attraversa il ponte sul torrente; di lì a poco la piazza, teatro della festa, si presenta disadorna: ancora è presto infatti, non tutto è pronto.
Il palco per la banda musicale è vuoto, gli striscioni colorati sono pochi, i palloncini veneziani spenti, la gente rara ed ancora un po' legata.
Fervono i preparativi, due uomini in cima ad una scala stanno inchiodando sul muro della casa di fronte alla chiesa un ritratto di "Gambine", perché oggi è anche il genetliaco del Re (Vittorio Emanuele III). Intorno al ritratto, benché gli abitanti del quartiere siano quasi tutti repubblicani e "sovversivi", hanno messo fiori e lampadine, come alla Madonna; anzi, come al Bambin Gesù, precisa uno che passa, in quel momento, perché se gli levi i baffi, "il resto è piccolo tutto eguale come un bambino".
Si oltrepassa la piazza, ci si inoltra per altri vicoletti, dietro il Teatro. Poi la "Tota", finalmente!
"Bona sera, sora Tota"
"Ooh! Guarda chi si vede! Come va, maestro?"
"Non c'è male, e voialtri"
"Sor Cencino, salute"
"Salute a voi tutti!"
"Allora, com'è questo vino delle vigne?"
"Fa rinascere i morti sor dottore!"
"Spero di no, perdio; altrimenti mi tocca scappar via di volata"
Tutti ridono. L'ambiente è familiare, caldo, sereno, alla buona.
C'è un odore aspro di vino dappertutto; c'è fumo, rumore, baldoria.
C'è anche un pergolato con la tavola di marmo rotonda all'aperto; ma fuori è freddo. Nella stanza della mescita c'è troppa gente, tanta: fuma, grida, si pigia, bestemmia, sputa per terra; urtoni, spintoni, manate, gomitate, piedi pesti, aria opaca, irrespirabile; facce allegre, contente, arrossate, congestionate.
"Vi fo sentire il bianco e il rosso?"
La decisione è semplice ed unanime: bianco e rosso, tutti e due, insieme; si fa prima.
"Si fa uno spuntino?" domanda il babbo.
"Ancora no, è troppo presto", dicono gli altri.
"Io voglio le castagne" dico categorico.
La mia azione è cominciata. Non c'è niente da fare; le castagne sono già nella mia tasca. È bene, bontà loro, tenermi quieto.
Bicchieri contro luce, colore e limpidezza del vino sono studiati attentamente; poi si annusa a riprese; con leggero schiocco della lingua infine si assapora.
Seri, compunti, statuari, assaggiano e si guardano, senza parlare. Si accenna qualche tentennio del capo, sguardi di intesa si incrociano al di sopra degli occhiali, interrogazioni rapide degli occhi curiosi si intrecciano, L'assaggio è fatto!
Non ho detto che il "giro" degli assaggi ha uno scopo, ben preciso, secolare: trovare la qualità del vino "nostrale" che piaccia a tutti, affinché Solano, l'oste dello scopone, se ne rifornisca per la comitiva, per tutto l'inverno.
La ricerca continua.
Poi via, di nuovo, altri assaggi, parecchi assaggi;
Le teste cominciano leggermente ad annebbiare, le lingue non sono più spedite, hanno qualche difficoltà, qualche incertezza, le gambe, almeno per ora, sono a posto.
Il "giro" è finito. La scelta è fatta. Il "rosciolo" della Tota ha vinto. La piazza si avvicina, la festa sta per cominciare; con essa comincerà il "mio" giro, la "mia" ora.
L'impresa personale
Non ne posso più! Scatto improvviso, mi avvicino fulmineo al palo, comincio la scalata, anch'io.
Oooohh! Tutto rapidissimo.
Il babbo, mio avversario diretto, è stato colto di sorpresa; solo quando sono a metà palo e tutta la gente guarda l'inaspettato supplemento di spettacolo, si accorge che quell'arnese lassù in alto sono io.
La sua faccia buona guarda sbalordita; il gruppo degli amici lo circonda ridendo e mi addita; il dottore fa cenni di minaccia con le mani scuotendo la testa in benevola disapprovazione.
La banda suona, la gente guarda me, questa volta, perbacco!
Seguito a salire, a fatica, ma seguito: ormai sono compromesso!
Come abbia fatto a togliermi le scarpe in un baleno è ancora oggi un mistero per me. I calzini, però, li avevo conservati e mi facevano un gran comodo per quella salita che non finiva mai. I pantaloni del vestito buono delle feste con la giacca a tre bottoni ed il fiocco rosso al collo: io sì che sono un concorrente di riguardo! E poi uno di S. Antonio, di quelli cioè che non "son buoni" a queste cose! Glielo farò vedere io!
L'onore del quartiere è nelle mie braccia!
Seguito a salire, stimolato da queste riflessioni; qualche scivolone anch'io, subito trattenuto e un poco di astuzia, contro quel residuo di grasso.
Con la manica della giacca del vestito buono (che occhi e che gesti faceva il babbo dalla piazza!) prima strofino accuratamente il legno, a monte; poi la mano si afferra al legno ormai pulito e si tira su più sicura. E così avanti: pulizia preventiva e piccolo passo susseguente; anch'io, fino in cima, vittorioso!
Questa emozione! Che momento indimenticabile!
La piazza applaude, la banda continua la marcetta mai interrotta durante la mia fatica, il babbo è sempre più esterrefatto.
Vedo lo zio Romolo che zufola e mi guarda; anche il maestro Secca, la testa girata, guarda ridendo e lascia le sapienti mani dirigere da sole.
Ancora un'occhiata compiaciuta alla folla nella piazza; poi la scesa, rapida, a "candeletta". Trovo le scarpe; non le metto. Debbo filare, di urgenza; ho appena il tempo di chinare la testa e sentire il fruscio di una mano che ha sfiorato il bersaglio, ed è un sussurro minaccioso: "a casa faremo i conti, lazzarone!"
Dileguo fra la gente, con le scarpe in mano, velocemente.
Quanta ingiustizia sulla terra!
A Zanzara tutti gli onori, lo squillo della tromba, gli applausi ufficiali della folla, tutta quella roba lassù in cima per premio.
A me, niente squillo di tromba, niente applausi, niente roba; solo il sibilo di uno schiaffo per ora andato a vuoto, serio preludio di prossime inevitabili burrasche.
Peccato! Quando si è incompresi, che rabbia!
Comunque, ho vinto anch'io. Evviva la cuccagna!