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CATACOMBE DEI CAPPUCCINI A PALERMO | ||
Chiesa dei Cappuccini | Le Catacombe di Palermo | Frate Silvestro da Gubbio | Enorme concentrato di Mummie | Visitatori illustri | Metodi di conservazione | |
A Palermo esiste una
chiesa (Chiesa di Santa Maria della Pace), comunemente conosciuta come “Chiesa
dei Cappuccini”.
E’
storicamente accertato che i Cappuccini francescani arrivarono a Palermo nel
giugno del 1534 e ottennero subito la concessione di un terreno e il permesso di
costruire un convento. Documenti storici affermano che nel 1565 i Cappuccini
avevano già realizzato la Chiesa o comunque riadattato un complesso
eventualmente preesistente.
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Le
Catacombe di Palermo
La fama del convento è dovuta soprattutto alla presenza di uno
strano cimitero sotterraneo, da sempre definito "Le Catacombe"
della città di Palermo. Costituito da lunghe gallerie scavate nel tufo, per
un’estensione di circa 300 mq.
Le Catacombe dei Cappuccini sorsero come semplice cimitero e il loro attuale sviluppo ed aspetto lo si deve, per certi versi, al caso. I Francescani avevano ottenuto con una Bolla papale l’autorizzazione ad essere seppelliti all’interno delle loro Chiese. I Frati che si stabilirono a Palermo collocarono il luogo per la loro sepoltura sul lato meridionale della Chiesa: una grezza cisterna scavata nel tufo dove i cadaveri venivano calati dall’alto, rimanendo ammucchiati alla rinfusa. Per tutto il XVI secolo i frati vi seppellirono oltre ai loro defunti soltanto due “estranei”. Nel 1597, giacché la fossa-cisterna era divenuta insufficiente, i Frati decisero di dotarsi di un “cimitero sotterraneo” più ampio e iniziarono lo scavo delle “Catacombe” (così era definito “qualsiasi cimitero sotterraneo” già in una Disposizione Papale del 380 d.C.) dietro l’altare maggiore della Chiesa. Negli annali si legge che quando i frati furono per traslare i corpi dei loro confratelli seppelliti della prima fossa, per portarli nella nuova sepoltura, trovarono tali corpi interi nonostante fossero stati inumati sovrapponendoli gli uni agli altri senza cassa e avvolti soltanto da un lenzuolo. Ovviamente tale fatto suscitò scalpore tra i frati i quali non seppero dare una spiegazione a tale fenomeno, ma compresero che quell’ambiente doveva essere in qualche maniera responsabile del fatto.
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Frate Silvestro da
Gubbio
Molti a questo punto si chiederanno in che maniera, in
questo argomento, c’entri Gubbio e gli Eugubini! Ebbene il primo nuovo “ospite” delle “Catacombe dei Cappuccini” di Palermo fu proprio un eugubino: Frate Silvestro da Gubbio (morto il 16 ottobre 1599) il cui corpo ancora oggi è esposto con un cartello che ricorda il suo “primato”:
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Un
enorme concentrato di Mummie
La catacombe dei Cappuccini oggi contiene il più
grande concentrato di mummie italiane, stipate all’interno di scaffali,
sistemati lungo le pareti dei tenebrosi corridoi sotterranei, si offrono agli
occhi dei curiosi visitatori poco meno di 7000 mummie. Per quasi tre secoli, dal
1599 al 1881, i notabili di Palermo hanno affidato ai monaci del Convento dei
Cappuccini il compito di mummificare e custodire anche i loro defunti. I corpi
venivano collocati in appositi colatoi e trattati poi con bagni a base di aceto
e di acqua di calce; in pochi mesi le carni si rinsecchivano acquistando una
durezza e una compattezza simile al cuoio e resistente nei secoli. A questo
punto, i corpi venivano rivestiti con i loro normali abiti e collocati nei
sotterranei del Convento, dove i parenti potevano andare a visitare il
congiunto, ritrovandolo, in alcuni casi, quasi intatto.
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Visitatori
illustri
Questo strano cimitero ha destato la curiosità di diversi visitatori fra cui il
poeta Ippolito Pindemonte, che visitò le catacombe nel giorno dei morti
nel 1779 e le decantò nei versi dei suoi "Cimiteri",
(vv. 126-136):
«………spaziose, oscure stanze sotterra, ove in lor nicchie, come simulacri diritti, intorno vanno corpi d'anima voti, e con que' panni tuttora, in cui l'aura spirar fur visti; sovra i muscoli morti e su la pelle così l'arte sudò, così caccionne fuori ogni umor, che le sembianze antiche, non che le carni lor, serbano i volti dopo cent'anni e più: Morte li guarda,
e in tema par d'aver fallito i colpi».
Giacomo Leopardi,
nei “Paralipomeni della Batracomiomachia” (canto
VIII stanza 16) ne fa un’ interessante descrizione:
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Metodi
di conservazione
Oggi, quello che più colpisce maggiormente il visitatore sono le notizie
relative al metodo utilizzato dai frati per la conservazione dei cadaveri. In
verità tale metodo doveva essere a quei tempi così usuale che nessuno degli
autori, che nel passato si sono occupati del cimitero, ha ritenuto
opportuno riportarlo nei suoi scritti con precisione.
Il primo a parlarne fu Gastone Carlo, nella sua opera “ Viaggio in
Sicilia” del 1828. Egli descrive sommariamente il metodo riportando nei
suoi scritti che i cadaveri venivano posti in una stanza, distesi o seduti e,
serrata la porta per non farne uscire la puzza, vi rimanevano per un periodo di
circa un anno, quindi all’apertura si ritrovavano interi ed intatti. In
seguito in un verbale redatto dopo un’ispezione del Senatore della città di
Palermo, Federico Lancia di Brolo si rileva che i cadaveri non più di 8 – 10
venivano introdotti in una stanza, distesi sopra una grata fatta di tubi di
terracotta e chiuse ermeticamente le porte, vi restavano per un periodo di circa
otto mesi o un anno. In seguito venivano trasportati in un luogo ventilato
coperto con tettoia, dove, venivano lavati e ripuliti con acqua ed aceto, quindi
rivestiti e collocati nella casse di legno o nelle nicchie lungo i corridoi.
Rimanevano li solo se i parenti andavano a trovarli e portavano loro la cera per
tre anni consecutivi altrimenti venivano rimossi.
In periodi di gravi epidemie, per la conservazione, si usava immergere i
cadaveri in un bagno di arsenico o di latte di calce ed è questo il metodo
utilizzato per il cadavere di
un certo Antonio Prestigiacomo
caratterizzato dal colorito
rossastro. |
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