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DANTE AMBROGI | ||
Biografia
Dante Ambrogi è nato a Gubbio nel 1924 e qui è vissuto nel popolare
Quartiere di S. Martino di cui ha riflettuto il sentimento ed il costume.
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Ha pubblicato molteplici raccolte di poesie:
Ritagli di
tempo (1960)
Poesie di
trenta anni (1987)
Poesie tra
cronaca e fantasia (1996)
Ritagli di
poesie e racconti (1997)
La potatura
degli alberi (1998)
Anni percorsi
(1999)
Attimi liberi
(2000)
Spazio
d’autunno (2001)
Speranza
(2002) Tramonto
(2003)
Ombra e Luce
(2004)
Misticismo
che continua... (2005) Il Torrente
(2007) Gubbio e il
suo tempo (2009) Ha pubblicato,
oltre ad un breve caleidoscopio letterario religioso, anche due libri:
Ricordi e
riflessioni durante un viaggio (1993)
Ascensioni
(1996)
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Il Dr. Ambrogi è
sempre stato vicino alla poesia, fin dai tempi del Liceo classico. Ha sempre creduto che la poesia "è un'affermazione positiva, non un modo di liberare l'emozione, ma una fuga dall'emozione". Della sua attività di poeta dice: "mi sembra di esprimermi in sentimenti umani dettati dalla fatalità del momento, dalle rapidi e difficili occasioni proposte dall'esistenza umana, dalla stessa morte che si associa al rimpianto ed al ricordo e speranza di una divina Provvidenza. Credo ancora che la poesia resta per ciascuno di noi il linguaggio che travalica i confini del tempo e della storia". Il suo concetto di vita: "la vera vita è un incontro di colloqui di sguardi intrecciati nel silenzio dell'amore". |
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Brani scelti: Gubbio di sera Corri San Giorgio San Martino Gubbio di sera Sono tegole forti sbiadite nel tempo tetti con lucerna aperti al cielo comignoli dei tetti anneriti dal tempo strade consunte dai passi. Ho vissuto tranquillo tra le tue mura Gubbio ruvide dal peso della storia guardo talvolta i cipressi essi vigilano e difendono il tuo colore catturando i raggi del sole fino al tramonto. Il torrente attraversa la tua pianura la tua città mentre ora le prime foschie della sera contrastano con le braccia delle gru. Tutti sono intenti a ricostruire il tuo passato mentre sotto le volte degli stretti passaggi senti i fruscii dei piccioni e vedi l'ultimo concittadino attraversare il tempo del futuro. Corri San Giorgio vivi, corri San Giorgio non devi mollare vivi corri non essere automa, Sii Santo con la forza per provare emozioni, con occhi acuti per vedere luce del Protettore con la spada per sfiorare l'avvenire. Non crederti il cavaliere del mondo ma crediti il centro della corsa. Scendi dal tuo trono come un angelo calligrafo sul quale non siedi ma stai sospeso dominatore del folle volo. sarai sempre una luce perché saliremo nella tua nave azzurra per conquistare gl'incanti dell'altra sponda, ove sommessi nell'altare dell'amore pregheremo perché solo il tuo fluire è imperativo crescente. S. Martino "La nebbia agli irti colli…" La festa di San Martino ha un sapore particolare. È l'anticamera dell'inverno specialmente nei borghi agricoli dove si assaggia il vino nuovo, ultimo prodotto dell'annata e si preparano le scorte. Nel quartiere eugubino di San Martino la festa ha un significato diverso anche se gli estimatori del buon vino sono maggioranza e le botti da forare non mancano malgrado parecchie cantine siano trasformate in negozi e in garage. Un momento di gioia e di serenità al di là degli affanni quotidiani, delle umane passioni, delle divisioni. La felicità domestica è un traguardo molto difficile. Quella del quartiere, almeno sulla carta, dovrebbe essere quasi impossibile. Invece a San Martino la gente è quasi sempre felice perché non ha perso il gusto delle cose semplici, della battuta sdrammatizzante, dell'amicizia cementata magari da una accanita "briscola" e da qualche quarto di quello buono. Il Giorno di San Martino l'amicizia diventa più stretta, l'allegria più contaminata, le battute più frizzanti. Il quartiere si trasforma in un immenso borgo senza perdere la sua dignità di cuore di una città adagiata pigramente sulle pendici pietrose del monte. Il consumismo, che è riuscito a contaminare anche le più genuine espressioni del folklore, ha trovato a San Martino vie e vicoli sbarrati. Gli unici segni di questa devastante civiltà sono le salsicce in cima alla cuccagna e il vino per digerirle. D'altra parte sono anche i segni di un passato che nessuno vuole rinnegare. Un passato che rivive ogni giorno, ma in particolare per la festa del quartiere. La nebbia sale su per le balze dell'Ingino e del monte Foce. L'odore del vino rallegra tutti e gesti antichi, quasi ripetitivi, che si compiono il giorno di San martino, ci riportano indietro nel tempo. Dalle pieghe della memoria riemergono personaggi e situazione che invitano alla riflessione. Mancano soltanto le vecchie osterie dove venivano serviti anche piatti semplicissimi per aiutare a bere. Ormai il bar la fa da padrone. Ma a San Martino anche il bar ha una sua originalità, anche se esteriormente è come tanti altri, riesce a conservare uno spirito arcano che lo fa sembrare osteria. Quelle osterie di Anesio, di Astolfo, di Tore, di tanti altri. Troppo spesso si è guardato a queste persone come a delle "macchiette" o se volete, per usare una espressione tutta sammartinara, a delle "leggere". Invece erano grandi maestri di vita. Sapevano accontentarsi di poco e sdrammatizzare anche le situazioni più complesse. Tore, per esempio, aveva un debito con la Giuina. Un debito di vino. La Giuina lo rincorreva per le vie di San Martino. E Tore gridava a squarciagola, quasi implorando: "Giuina me li darete". Una dimostrazione di grande dignità. Sulle battute fulminanti dei Sammartinari si potrebbe scrivere un libro di mille pagine. Il trionfo dell'anima popolare. Un'anima popolare che, malgrado tutto non è ancora morta. D'altra parte l'anima non può mai morire. Anche se i tempi sono cambiati e tutto ciò che è popolare viene guardato con sospetto, la tradizione a San Martino e dintorni non si è spenta. Bastano tre nomi: Baistrocchi, Balenella, Chico. Tre artisti. Il primo del restauro, il secondo del ferro, il terzo del pennello. Anche Pinocchio usava il pennello. Non per creare suggestive immagini, ma per coprire pareti sconnesse. Si potrebbe trovare un minimo denominatore comune nel vino. Ma sarebbe ingiusto. Tutte queste persone, ed anche altre che non è possibile citare solo per esigenze di spazio, hanno avuto e hanno un denominatore comune nella semplicità e nella bontà. Due sentimenti che consumismo, materialismo, individualismo, permissivismo hanno cancellato dalla faccia della terra, ma non da San Martino. Dunque, evviva San Martino che è anche capitale della solidarietà. Non a caso la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Gubbio ha sede nel quartiere. |
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