Lutto nella nostra comunità eugubina:
si è spento all'età di 97 anni il
Professore Luciano Fabio Stirati: figura di spicco del mondo politico
e culturale eugubino e regionale, padre dell'attuale sindaco di Gubbio,
Filippo Mario.
"Un giorno triste per la città di Gubbio - si legge in una
nota diffusa dall’ufficio stampa del Comune - che perde un uomo di profonda
cultura, passione politica, grande sensibilità umana e intellettuale. Tutta
l'amministrazione comunale oggi è stretta intorno al suo sindaco per la perdita
del caro padre e di un uomo che ha segnato profondamente la storia politico
culturale della città".
Luciano Fabio Stirati era nato a Gubbio il 15 dicembre 1922: stimatissimo
insegnante di Latino e Greco per i tanti giovani eugubini che hanno
frequentato il
Liceo Classico "Giuseppe Mazzatinti".
La grande passione per la politica lo portò fino a Roma, come
senatore della repubblica nelle file del
Partito Socialista per ben due legislature: dal ’62 al ’66 e dal ’72 al ’76.
Luciano Fabio fu anche grande tifoso del
Gubbio Calcio di cui rivestì anche il ruolo di presidente
onorario, ed immancabili erano i suoi interventi nelle più importanti occasioni
pubbliche, di presentazione o celebrazione, che riguardavano la sua squadra del
cuore.
Grande e profondo il suo legame con la città e le sue tradizioni, è stato anche
Presidente dell’Associazione
Maggio Eugubino dal 1985 al 1989.
Ha ricoperto anche la carica di primo Presidente dell'Ente
Ospedaliero di Gubbio, allorquando nel 1968 la "Opera Pia" si trasformò in
Ente Ospedaliero.
Ci piace ricordarlo con
il suo discorso tenuto il 17 marzo 2011, in
occasione della
celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia:
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“Ho parole d ringraziamento per il
Sindaco di Gubbio
(N.d.R.:
Cristina Ercoli)
per l’onore offerto che mi cagiona grande emozione com’è facile intuire (….)
penso che le prime parole debbano essere rivolte ai tanti presenti della scuola,
perché la scuola pubblica è stata proprio nei giorni scorsi vilipesa, umiliata
da chi per primo avrebbe dovuto difenderla! Perché chi istruisce, educa; e in
questi anni soffre anche il peso di una società che in parte è malata. Questi
malanni si riflettono nella stessa vita della società. Chiudiamo questa, che non
mi pare una parentesi, ma un’esaltazione legittima di una grande istituzione;
che io penso che Piero Calamandrei la considerava la più grande e più importante
Istituzione pubblica del Paese: la Scuola.
Per
l’unità d’Italia io devo dire che
celebrarla sinteticamente anche non dico difficile ma impossibile. Perché la
platea dei protagonisti di quest’affascinante avvenimento storico è così vasta e
varia di essere francamente sommamente arduo operare una sintesi.
Io la opererò in un altro senso, forse più interessante almeno per
me, che con dolore seguo la politica italiana. Erano uomini di varie estrazioni,
di varie posizioni, politiche gravi, storiche, musicali; ma quegli uomini
avevano ideali comuni che li rendono uniti.
Avevano un cuore vibrante di passione “Patria”, sincera, schietta.
Provenivano dal mondo della cultura, quasi tutti. Erano di un’onestà INFINITA
(mi si passi quest’aggettivo che può sembrare esagerato, mi è venuto spontaneo.
Mi è sembrato che l’aggettivo PROFONDA fosse insufficiente!) Uomini dalla vita
sobria. Un
Cavour, pur ricco, viveva nella parte più
modesta del castello avito.
Ricasoli, a Torino, aveva un quartierino di
tre stanze: un soggiorno e due camere; per se e per il fratello. Desinava nelle
locande dei più comuni cittadini, in mezzo ai popolani di Torino. Insomma una
vita sobria, un po’ ribelle mi pare! Per i nostri tempi. (Ricasoli rifiutava
perfino il biglietto ferroviario gratuito: l’unico compenso de parlamentari, dei
ministri).
Allora non posso che soffermarmi su quelle che a me paiono le
figure centrali del Risorgimento, anche se tantissimi hanno operato per
raggiungere l’obiettivo supremo:
l’Unità e l’Indipendenza dell’Italia.
Giuseppe
Mazzini, oggi non molto popolare anche
perché (non so se sarete d’accordo) parla dei Doveri ! Le sue massime non sono
molto popolari. Puntava su una vita quasi monastica, sobria, uggiosa, ispirata a
una morale collettiva, ma queste massime, queste formule, erano il fermento
potente per la gioventù italiana. Ecco la grandezza di Mazzini, al di la del
fatto che dai suoi scritti non si può ricavare una filosofia, una teoria. Eppure
Mazzini è stata una forza potente, un lievito interessante del nostro
Risorgimento.
Garibaldi fu un protagonista indiscusso, il
più popolare anche perché i ribelli in Italia e i rivoluzionari in generale sono
sempre molto più popolari dei moderati. Poi magari se uno considera la storia
d’Italia troverà che i moderati ma statisti veri, sono stati positivi,
costruttivi, riformisti di prima grandezza. Lasciamo stare la cavalcata epica di
Garibaldi che tutti conoscono. Un eroe purissimo non c’è dubbio. Un eroe che ha
donato un regno e si ritira a Caprera con un sacco di lenticchie; senza una
spilla, un gioiello, un quadro, un tesoretto del regno di Napoli da Lui
conquistato.
Il protagonista dei protagonisti: Camillo Benso, conte di
Cavour
(…)
… che influenzavano ancora non solo molti cittadini ma le istituzioni… la
burocrazia, l’esercito e dall’altra parte l’estrema giacobina. L’alleanza che fu
chiamato connubio fu direi un motore fondamentale della marcia cavouriana verso
la guerra d’indipendenza. E non pensiate anche qui che il cammino fosse facile
nello stesso parlamento. Egli lo dominava, certo, sapeva anche dare lezioni di
opposizione a due vespe che voi non immaginate quanto lo infastidissero, da una
parte Angelo Brofferio e dall’altra Francesco Domenico Guerrazzi che lo
irridevano perché dicevano gli “nuoceva il volume della sua persona” (così
scriveva il Ferrero). Nonostante le tante lezioni che il conte di Cavour
riservava sia all’uno sia all’altro delle sue moleste vespe, quando si andava
alla conta dei voti vinceva sempre il Cavour. I battimani e gli applausi dalle
tribune erano per Brofferio, ma quando si andavano a contare le palline vinceva
sempre il Cavour. Questo è niente a paragone delle tensioni che caratterizzavano
i rapporti tra il Cavour e lo stesso
Vittorio Emanuele II, un po’ invidioso del
prestigio raggiunto da Cavour specialmente al congresso di Parigi e dopo quando
tutte le città italiane inneggiavano all’uomo che aveva difeso l’Italia a viso
aperto. Le tensioni continuavano nel prosieguo della sua marcia verso la guerra
d’indipendenza. Debbo dire perché è l’aspetto più umano del Cavour, che forse si
ritiene sia, ma solo apparentemente, un uomo freddo quasi cinico; il Cavour
attraversò nel marzo del 1859 momenti di angoscia terribile per le esitazioni, i
dubbi, le stravaganze di Napoleone III. Ebbe notti angosciose … e chiedeva
conforto al suo fido collaboratore Costantino Nigra. Ebbe momenti di angoscia
dopo Villafranca dopo l’armistizio (…) e gli ultimi istanti della sua vita
furono rivolti all’Italia e alla separazione della Chiesa dallo Stato: “Libera
Chiesa in libero Stato”. Questo fa onore a un uomo come il conte di Cavour. Fa
onore anche al sacerdote padre Giacomo che a rigore non avrebbe dovuto
somministrare i sacramenti a uno scomunicato qual era il conte di Cavour; ma
Cavour obbediva alla tradizione cristiana di se stesso e la sua famiglia, e il
frate obbediva alla sua libera coscienza di sacerdote.
Sono momenti di grande umanità e di grande valore che io ho
voluto ricordare.
Fatemi concludere, perché vedo molti studenti, docenti e politici,
che un altro uomo politico e soprattutto educatore politico è stato
Francesco de Sanctis. L’autore della
straordinaria storia della letteratura italiana, di saggi critici
d’impareggiabile finezza, che costituirono una radicale svolta della storia
della critica letteraria italiana molto arretrata; concludeva un suo articolo,
niente meno del 1875, ove manifestava la sua delusione per i primi decenni della
storia del nostro paese. Egli diceva: ” l’Italia se non si bada va incontro a
violenti, a sfrontati, a uomini che trattano la politica come un mestiere da cui
si lucrano onori e guadagni” (ricordo, credo sufficientemente, le sue stesse
parole). Bene! Noi vorremmo che queste parole fossero ben meditate dalle giovani
generazioni. Perché dalle giovani generazioni, spesso assopite o emarginate, che
può venire un altro Risorgimento che sconfigga le ombre che ancora si addentrano
sugli altri cui hanno fatto cenno coloro che mi hanno preceduto. Quegli uomini
che mi sono sembrati, nelle trasmissioni recenti, così avvilenti e così tristi,
quando come rappresentanti delle pubbliche istituzioni voltano le spalle e si
atteggiano in modo equivoco, in modo reticente. Il che li rende ancora più
spregevoli. Dovrebbero ricordare l’articolo quinto della Costituzione che parla
di una Repubblica “una e indivisibile”. Bene! È ora che le giovani generazioni a
cui affidiamo la storia d’Italia, fatta di tanti travagli, di tante
tribolazioni, di guerre, della resistenza che ha salvato l’onore d’Italia… fate
in modo che queste energie che esistono nell’Italia finalmente si ridestino, si
risveglino; per l’Italia, per voi stessi, per le nuove generazioni.”
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