Sono trascorsi
64
anni dalla "tragedia
di Marcinelle".
Mai
tante vittime erano state reclamate dalla miniera, in cambio del carbone
estratto dalle sue viscere, come in quell’ 8 agosto 1956 al Bois du Cazier,
in Belgio, vicino Charleroi.
L'incidente è il terzo per numero di vittime tra gli
italiani all'estero dopo i disastri di
Monongah (Usa - West Virginia: 171 morti
italiani) e di
Dawson
(Usa - Nuovo Messico: 146 morti italiani).
A Marcinelle, in seguito ad un errore umano, un incendio si estese rapidamente a
tutta la miniera. In totale, 262 uomini, di 12 nazionalità diverse (fra cui
136 italiani e 95 belgi) persero la vita, lasciando centinaia di vedove e di
orfani.
Il risultato segnerà la fine dell’emigrazione italiana in Belgio e
una regolamentazione più severa per la sicurezza
sul posto di lavoro. Per comprendere la dinamica
dell'incidente visita il
sito
ufficiale della Miniera.
L’ ASS. EUGUBINI nel MONDO si sente spiritualmente presente alle
cerimonie
celebrative di Charleroi e pertanto rivolge alle Istituzioni presenti ed ai
parenti dei caduti i sentimenti di viva, fraterna e solidale partecipazione come
messaggio simbolico che accomuna tutti gli italiani ovunque si trovino.
L’
8
Agosto è diventato così anche per gli italiani che vivono
nei vari continenti
la giornata
del sacrificio e del lavoro italiano nel mondo. “Giornata simbolo”
ma anche momento di unità e di riaggregazione degli italiani tutti che
riscoprono, nelle celebrazioni di Marcinelle, i valori e l’orgoglio
dell’identità;
La miniera di Bois du Cazier, Marcinelle, situata nel bacino
carbonifero di Charleroi, ha rappresentato “il lavoro” anche per tanti eugubini.
Il caso ha voluto
che di fatto nessun eugubino vi rimanesse coinvolto,
un pò anche per l'appossimarsi delle feste di ferragosto che rappresentavano
un'occasione importante per ritornate qualche giorno in Italia dai propri cari.
Metà dei 136 morti italiani erano abruzzesi e molisani e calabresi
Una tragedia che tutti ricordano ancora oggi a
Manoppello, Lettomanoppello e
Turrivalignano in Abruzzo; a Crotone, a San Giovanni in Fiore e a Castelsitrano
in Calabria.
Ma l'8
agosto è una giornata da non dimenticare, la cui storia va trasmessa alle nuove
generazioni affinché capiscano che cosa è stata l’Emigrazione
per il nostro Paese, per comprendere nello stesso tempo i valori
dell’accoglienza nei confronti dei disperati che bussano alle nostre porte.
Nel 2001 il governo italiano ha istituito la “Giornata
Nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel Mondo”, che ricorre appunto
ogni anno l’8 agosto. La memoria rimane l’unica forma di riscatto possibile da
quella tragedia, per ricordarci chi eravamo, e per saperci riconoscere in chi
oggi, come noi allora, lascia il proprio paese in cerca di una vita migliore.
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I fatti: l’8 agosto 1956, di buon mattino, come ogni giorno,
275 uomini scendono con gli ascensori nella profondità della terra per estrarre
le tonnellate di carbone che avrebbero permesso ai loro familiari di vivere e al
Belgio di continuare a prosperare.
Le gabbie degli ascensori distribuiscono le squadre nei vari piani, a quota 765
e 1.035.
Alle ore 8.15, per un errore umano un carrello, in un pozzo a 1035 metri di
profondità,
esce dalle guide e va a sbattere contro un fascio di cavi elettrici senza rete
di protezione; i cavi elettrici ad alta tensione e le condotte d’olio si
spezzano. Comincia così la tragedia: l’atmosfera carica di fumo, di ossido di
carbonio e di gas tossici comincia a espandersi in tutte le gallerie, l’incendio
si espande nelle condutture d’aria e le rende inutilizzabili per la risalita e
il fumo stagnante impedisce la discesa dei soccorritori a quelle grandi
profondità.
Alle ore 12.00: finalmente viene ripristinata l’entrata alla
miniera, ma il fumo stagnante impedisce la discesa dei soccorritori a grandi
profondità.
I soccorsi furono abbastanza pronti e comunque si continuò a scavare per
15 giorni, fino al 22 agosto, quando purtroppo un soccorritore che, raggiunto i
1035 metri, risalì gridando "tutti cadaveri".
Solo 13 lavoratori si erano
salvati. Le vittime furono 262 di cui 136 italiani, il più giovane di 14 anni e
il più anziano di 53 anni.
La presenza di tanti italiani nelle miniere del Belgio era dovuta ad un
accordo del giugno 1946
tra Italia e Belgio che prevedeva l'invio di 2000 giovani disoccupati alla
settimana da far lavorare nelle miniere belghe in cambio della vendita a basso
costo di un certo numero di tonnellate di carbone. Fu così che
nel decennio succesivo partirono dall'Italia per il Belgio 140.000 lavoratori,
18.000 donne e 29.000 bambini.
l bei manifesti rosa, affissi in tutti i comuni
d'Italia, parlavano di un lavoro sotterraneo nelle miniere belghe. Naturalmente
non fornivano alcun dettaglio sul tipo di lavoro, soffermandosi invece sui
vantaggi dei salari, delle vacanze e degli assegni familiari.
La realtà che trovarono i lavoratori italiani in Belgio fu, invece,
ben altra cosa: un lavoro durissimo e pericolosissimo da affrontare senza alcuna
preparazione specifica.
I candidati minatori erano avviati da tutta Italia e dopo aver superato le
visite mediche e dopo un viaggio che poteva durare anche 52 ore, venivano
scaricati non nelle stazioni riservate ai passeggeri ma nelle zone destinate
alle merci. Quindi erano sistemati
lontano dalle città, nei pressi del pozzo della miniera alla quale erano
assegnati, in baracche di legno o di zinco molte delle quali erano state
utilizzate per i prigionieri russi durante l'occupazione nazista.
Chiuso definitivamente nel 1967,
in quanto L'estrazione del carbone non era più remunerativa, l’insieme architettonico di Bois du Cazier è stato classificato come monumento
nel 1990 ed è stato acquistato dalla Regione Vallone che, grazie ai contributi
della Comunità Europea, lo ha riqualificato.
Nel 2004 quello che restava della miniera del Bois du Cazier
è stato trasformato in museo per ricordare la tragedia, affinché la memoria di
una epopea di lavoro e di sangue non venisse cancellata. Ora il museo del Bois
du Cazier è stato dichiarato dall’Unesco monumento di interesse storico per
tutta l’umanità grazie al suo alto valore simbolico.
L’attuale complesso archeo-industriale comprende tre aree espositive, inaugurate
lo scorso 12 marzo, per ricordare la storia di una regione coinvolta nella
grande rivoluzione industriale, ma soprattutto quella sciagura che costò tante
vite umane.
Oggi l'area dell'ex miniera è stata completamente recuperata e al
suo interno sono stati realizzati un museo di archeologia industriale (in
13 sale, sono illustrati i principali settori produttivi: l’estrazione del
carbone, la siderurgia, la vetreria, la metallurgia e la meccanica, la chimica)
nonché un memoriale - inaugurato nel 2006,
in occasione del 50° anniversario della tragedia - dove la storia di quanto
avvenuto è raccontata attraverso
numerosi documenti
fotografici. All'ingresso è stato posto un
blocco di marmo di Carrara su cui sono stati incisi i nomi dei morti.
Molto interessante il libro
"Per un sacco di
Carbone",
in quanto si inserisce nell'argomento del
lavoro degli italiani nelle miniere di carbone del Belgio, scritto da
Maria Laura Franciosi, studiosa e
scrittrice che possiede una chiara "eugubinità" (nata a Napoli, ha
trascorso gran parte dell'infanzia a Gubbio dove ha frequentato il liceo
classico per poi laurearsi in scienze politiche a Roma).
l'opera, pubblicata nel 1996, è un
poderoso volume di 400 pagine piene di fotografie e documenti, e con le storie
di ben 150 minatori, delle loro mogli e figli, molti dei quali si sono ora
inseriti nel tessuto sociale del Belgio.
Rappresenta una vera narrazione
del lavoro Italiano nel mondo, quando il valore degli uomini equivaleva a quello
dei sacchi di carbone che riuscivano ad estrarre dalle viscere della terra.
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