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   Vescovo Beniamino Ubaldi
   

 

14 gennaio 2015 - 50 anni fa moriva il Vescovo Beniamino Ubaldi


      Ricorre oggi il 50° anno dalla scomparsa di Mons Beniamino Ubaldi, Vescovo di Gubbio per 33 anni, dal 1932 al 1965.
      Lo ricordiamo con le parole del Sindaco Stirati:
«... una figura di riferimento imprescindibile per la Chiesa e per tutti gli eugubini, partecipe attento alla vita cittadina, presente con la sua guida autorevole ma anche umile e frugale, fino a rifiutare sedi di maggior spicco. La disponibilità del successore di S. Ubaldo è arrivata al sacrificio personale, battendosi per evitare la strage dei 40 Martiri, offrendo la propria vita in cambio degli ostaggi e cercando, a tragedia avvenuta, di confortare una città smarrita e lacerata, ferita nei suoi affetti profondi. Il suo nome, il suo ricordo, l’opera di apostolato a favore dei giovani sono, a distanza di mezzo secolo, riferimento costante e indelebilmente nella storia cittadina, esempio morale e religioso a cui ispirare l’impegno e l’azione quotidiana. »

    Beniamino Ubaldi nacque il 16 novembre 1882 a Lamoli, nei pressi di Bocca Trabaria, nel comune di Borgo Pace, nella provincia di Pesaro-Urbino, da Francesco, scalpellino, e Giuditta Sgrignani.
  Dodicesimo di quattordici figli, di cui sette morti poco dopo la nascita, Beniamino superata la terza elementare insistette con il padre che lo voleva avviare ad un mestiere affinché gli facesse continuare gli studi; fu così che, anche per le difficoltà economiche della famiglia egli fu affidato alla guida del parroco di Lamoli, Don Luigi Righi che lo fece progredire non solo negli studi ma anche nella vocazione sacerdotale dimostrata fin dalla più tenera età sull'esempio del fratello Antonio, poi sacerdote. Anche due sorelle Adele e Delfina si dedicarono alla vita religiosa.
   Il giovane Beniamino nel 1905 entrò in seminario e il 22 settembre 1906 ricevette l'ordinazione sacerdotale. Poco dopo si recò a Roma dove frequentò la Facoltà di Diritto Canonico e di Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana conseguendo le due lauree (1908), un diploma di Scienze Sociali e uno di Perfezionamento Teologico.
    S. Lorenzo in Selvanera lo ebbe ancora attivissimo parroco fino al settembre 1913 quando fa nominato vicerettore del Collegio Apostolico Leoniano in Roma.
    Nel 1916, in piena guerra mondiale, fu nominato cappellano militare del 129° reggimento di Fanteria (Brigata Perugia) operante sul San Michele, successivamente esercitò la sua carità cristiana negli ospedali da campo fino alla fine della guerra.
    Tornato nella sua parrocchia di San Lorenzo in Selvanera si adoperò con zelo ammirabile tanto da essere nominato Vescovo di Tricarico (Potenza), ma riuscì a far accettare la sua rinunzia, invece nel I923 non poté rinunciare alla nomina di vicario generale dell'arcidiocesi perugina e direttore del seminario.
    A Perugia rimase fini al 1932 quando fu nominato vescovo della Diocesi di S. Ubaldo, consacrato il 29 giugno nella basilica di S. Lorenzo a Perugia, fu trionfalmente accolto a Gubbio il 14 agosto.
Per oltre 32 anni guidò la nostra diocesi fino alla morte che avvenne il 14 gennaio 1965 a Gubbio dove è sepolto, ricordato e sempre amato dal popolo eugubino.
    
In questi 32 anni tante furono le sue iniziative: riallacciò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale anche i legami con la cittadina francese di Thann favorendone la firma del gemellaggio ufficiale nel 1958. Per ben tre volte fu chiamato come "crematores" (1946, 1951 e 1961)  ad accendere un abete durante le festa dedicata a S. Ubaldo nella città Alsaziana.
    Ha voluto celebrato l'8° centenario della morte di S. Ubaldo, nel 1960, "in modo che riesca degna delle tradizioni religiose e civili di quella che si gloria chiamarsi la Diocesi di S.Ubaldo".
     Ha partecipato al Concilio Ecumenico Vaticano II

    A Gubbio, nel 1944, il vescovo ha vissuto insieme con il suo popolo la tragedia della strage dei 40 Martiri.
   
Quella tragica mattina del 22 giugno 2014 quaranta eugubini morirono sotto i colpi dell’esercito nazista  (Vedi)

Riportiamo direttamente da diario del Vescovo:
 
"Il 22 mattina, verso le 6,30 o 6,45, mentre mi preparavo per la Santa Messa in cappella, sentii bussare alla porta dell'Episcopio e un clamore di voci femminili. Erano povere donne tutte spaventate che chiamavano il vescovo perché si recasse al Comando tedesco. Che era successo? Hanno fucilato i loro uomini? Non lo dicono ma lo temono. Corsi subito accompagnato dal canonico Braccini. Incontro donne piangenti che corrono qua e là come pazze. Cerco il dottor De Langer, abitante in via Cairoli, perché mi faccia da interprete e mi porto all'albergo San Marco, dove vengo introdotto dal Comandante. Non era più quello dei giorni precedenti. Mi dissero che era arrivato durante la notte e che si accingeva ad andare a riposare. Pareva una faccia meno diabolica del primo. Impassibile ascolta la mia preghiera di liberare gli ostaggi e l'assicurazione che io ripetevo che in città non c'erano "ribelli" da far temere conflitti. Rispose che se non fosse successo niente non ci sarebbe stato altro. Che significava ciò? Mi sentii lì per lì sollevato. Ma poi il Comandante continuò a parlare in tedesco all'interprete. Vidi rabbuiarsi la faccia del dottor De Langer, il quale esitava a tradurmi il discorso. Poi, sollecitato da me, con voce quasi spenta disse: ha detto che questa mattina sono state fucilate quaranta persone, tra cui due donne... Mi sentii un tuffo al cuore. Ebbi appena la forza di chiedere il permesso di mandare da mangiare agli ostaggi, che per tutta la giornata del 21 erano rimasti senza mangiare, permesso che mi fu concesso.
Io mandai il padre Gabriele Ardusso, che mi aveva raggiunto all'Albergo, all'edificio scolastico per rassicurare gli ostaggi che mi occupavo della loro liberazione e per portar loro la mia benedizione.
Le povere donne che si affollavano alla porta dell'albergo mi videro uscire a testa bassa e dovettero leggere nel mio volto la tremenda verità. Alle loro angosciose domande io non sapevo rispondere altro che stessero calme, affinché non succedesse qualche cosa di peggio. Mi recai subito a celebrare nella mia cappella la Messa in suffragio di quelle povere anime e poi uscii tosto facendo il giro della città, raccomandando la prudenza e la calma alla gente che dalle finestre e porte semichiuse chiedeva se vi fossero novità. Io mi limitavo a dire: buoni, per carità, che non abbia a succedere qualche cosa di peggio! E tutti intuivano che qualche cosa di grave doveva essere accaduto.
Siccome i tedeschi erano inquieti perché non c'era alcuna autorità civile e il comune era chiuso, il conte Mancinelli da me incontrato per istrada mi disse che avevano incaricato lui di fare da Commissario e mi chiese di aiutarlo. Reclamavano materassi, tavole, sedie ecc. Ci demmo da fare e tutto fu trovato. Incaricammo i vigili del fuoco di farne il trasporto, rassicurandoli che la loro divisa sarebbe stata rispettata.
Intanto però continuavano le rapine e le violenze delle pattuglie tedesche di via in via, di casa in casa. Era una cosa opprimente. Il terrore pesava come un incubo sulla città dove nessuno osava circolare.
Ricordo un episodio che fra tante miserie di cui ha dato purtroppo lacrimevole spettacolo la nostra gioventù femminile, nei suoi rapporti con soldati stranieri, ci fa ancora credere nell'esistenza della virtù. Una giovane sfollata da Ancona e abitante in via XX Settembre, venne quella mattina da me, accompagnata da una signora. Mi raccontò che durante la notte, due soldati tedeschi erano entrati di prepotenza nella sua camera e volevano ad ogni costo violarla. Ella resistette, le vennero o si fece venire le convulsioni ... e con questo si era salvata. Le avevano lasciata una carta da mille lire. L'aveva in mano ma pareva che avesse paura di toccarla. Eccola, mi disse, la prenda Lei: l'ho promessa a Sant'Ubaldo... Sono povera; non possiedo altro che l'onore e quei bruti volevano togliermi anche quello! Le dissi parole di conforto e le diedi commosso la mia benedizione.
Quella stessa mattina in cui io avevo circolato per la città senza alcun sospetto, mi vedo arrivare in Episcopio la signora Olga Salciarini (il cui marito avvocato Gaetano e il figlio Luigi io avevo messo in salvo la sera prima avviandoli attraverso il mio orto verso il Monte di Sant'Ubaldo e di lì verso Burano) la quale tutta preoccupata mi dice: stia attento, non esca... si dice che i tedeschi l'hanno con Lei, che verranno a fare una ispezione in Episcopio ecc. Tranquillizzai la signora, dicendole che io mi sentivo tranquillo... Ma essa se ne andò con aria di mistero e tutt'altro che persuasa... Se portano via Lei, la popolazione non ha più nessuno... Stia attento.
Non feci gran caso di ciò. Ma nel primo pomeriggio, mi ero appena coricato, perché la testa non mi reggeva più, quando la signorina Maria Uccellani, dice al mio cameriere che ha bisogno assolutamente di parlarmi subito. Fui chiamato di fatti; e l'Uccellani mi ripeté che la signorina che faceva l'interprete coi tedeschi aveva detto in presenza di parecchie persone che i tedeschi avrebbero fucilato il vescovo. E si precisava: alle 3,30 del pomeriggio sarebbero venuti a prendermi in Episcopio e alle 10,30 della stessa sera avrebbe avuto luogo la fucilazione. E perché? Perché il vescovo, mentendo, aveva voluto discolpare i cittadini di Gubbio dall'omicidio attribuendolo ad uno Slavo. Ringraziai la signorina e dissi anche a Lei che stesse tranquilla, che forse si trattava di chiacchiere e nient'altro.
Infatti di tutto questo fu nulla. Né io mi impressionai eccessivamente. Che avevo da rimproverarmi io? Davanti alla minaccia di incendio della città e dell'eccidio dei cittadini che ne sarebbe seguito, per salvare i 22 Ostaggi che stavano per essere fucilati, avevo detto al Comandante tedesco che non potevo ammettere che cittadini di Gubbio, buoni ed ospitali per tradizione, avessero commesso quell'omicidio; e avevo fatto l'ipotesi di uno Slavo; che di Slavi vaganti sui nostri monti coi cosiddetti ribelli si aveva avuto notizia. Né d'altronde, quelli che poi risultarono gli autori dell'omicidio, mi erano allora noti né di nome né di persona. La sola precauzione da me presa fu di avvisare gli uomini che si erano rifugiati nel mio orto per nascondersi in una grotta sotterranea, di allontanarsi per il pericolo che i tedeschi vi facessero un sopraluogo"
.

    Per ricordare la figura di Beniamino Ubaldi e l'operato di un pastore amato come pochi dalla comunità di fedeli eugubini, TRG ha dedicato una puntata speciale di "LINK" a cura del direttore, Giacomo Marinelli Andreoli, dedicata proprio alla figura di mons. Beniamino Ubaldi, con ospiti in studio, immagini d'archivio, interviste e ricordi di un personaggio che ha segnato indelebilmente la storia cittadina nel secolo scorso, eletto anche "Eugubino del secolo" dal periodico "Gubbio oggi". In studio ospiti i sacerdoti don Ubaldo Braccini e don Angelo Fanucci, il giornalista Giampiero Bedini e il responsabile dell'ufficio beni culturali della Diocesi, Paolo Salciarini. Contributi anche con interviste all'attuale Vescovo Ceccobelli e al sindaco Stirati, e l'intervista testimonianza del Prof. Antonio Marionni che partecipò da interprete all'incontro tra il Vescovo Ubaldi e il comando nazista alla vigilia della fucilazione dei 40 Martiri.
 

   Nel 1918, grazie al lavoro di F. Cece e A. Radicchi è stato pubblicato anche il suo Diario della Grande Guerra scritto negli anni in cui fu cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. Infatti in quegli anni annotò in sette quaderni le sue memorie che, a cento anni dalla fine della Grande Guerra, finalmente rivedono la luce.
   Queste note ci restituiscono anche in modo drammatico, le impressioni e le vicende che lo videro coinvolto. L'attività militare di don Beniamino si può dividere in almeno tre periodi: il primo, da maggio 1915 a gennaio 1916 quando arruolato, svolse alcuni incarichi a Roma in attesa di destinazione; il secondo da gennaio 1916 a gennaio 1917, quando fu cappellano militare del 129° reggimento fanteria ed il terzo da gennaio 1917 a marzo 1919, periodo in cui fu assegnato, sempre come cappellano, all'ospedaletto da campo n. 162. Il 22 marzo mise fine alla sua vita di guerra durata "tre anni, nove mesi e ventinove giorni".


 

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