Ricorre
oggi il 50° anno dalla scomparsa di Mons Beniamino Ubaldi, Vescovo di Gubbio per
33 anni, dal 1932 al 1965.
Lo ricordiamo con le parole del
Sindaco Stirati:
«... una figura di riferimento imprescindibile per la Chiesa e per tutti gli
eugubini, partecipe attento alla vita cittadina, presente con la sua guida
autorevole ma anche umile e frugale, fino a rifiutare sedi di maggior spicco. La
disponibilità del successore di S. Ubaldo è arrivata al sacrificio personale,
battendosi per evitare la strage dei 40 Martiri, offrendo la propria vita in
cambio degli ostaggi e cercando, a tragedia avvenuta, di confortare una città
smarrita e lacerata, ferita nei suoi affetti profondi. Il suo nome, il suo
ricordo, l’opera di apostolato a favore dei giovani sono, a distanza di mezzo
secolo, riferimento costante e indelebilmente nella storia cittadina, esempio
morale e religioso a cui ispirare l’impegno e l’azione quotidiana. »
Beniamino Ubaldi
nacque il 16 novembre 1882 a
Lamoli, nei pressi di Bocca Trabaria, nel
comune di Borgo Pace, nella provincia di Pesaro-Urbino, da Francesco,
scalpellino, e Giuditta Sgrignani.
Dodicesimo di quattordici figli, di cui sette morti poco dopo la
nascita, Beniamino superata la terza elementare insistette con il padre che lo
voleva avviare ad un mestiere affinché gli facesse continuare gli studi; fu così
che, anche per le difficoltà economiche della famiglia egli fu affidato alla
guida del parroco di Lamoli, Don Luigi Righi che lo fece progredire non solo
negli studi ma anche nella vocazione sacerdotale dimostrata fin dalla più tenera
età sull'esempio del fratello Antonio, poi sacerdote. Anche due sorelle Adele e
Delfina si dedicarono alla vita religiosa.
Il giovane Beniamino nel 1905 entrò in seminario e il 22 settembre
1906 ricevette l'ordinazione sacerdotale. Poco dopo si recò a Roma dove
frequentò la Facoltà di Diritto Canonico e di Filosofia presso la Pontificia
Università Gregoriana conseguendo le due lauree (1908), un diploma di Scienze
Sociali e uno di Perfezionamento Teologico.
S. Lorenzo in Selvanera lo ebbe ancora
attivissimo parroco fino al settembre 1913 quando fa nominato vicerettore del
Collegio Apostolico Leoniano in Roma.
Nel 1916, in piena guerra mondiale, fu nominato
cappellano militare del 129° reggimento di Fanteria (Brigata Perugia)
operante sul San Michele, successivamente esercitò la sua carità cristiana negli
ospedali da campo fino alla fine della guerra.
Tornato nella sua parrocchia di San Lorenzo in Selvanera si
adoperò con zelo ammirabile tanto da essere nominato Vescovo di Tricarico
(Potenza), ma riuscì a far accettare la sua rinunzia, invece nel I923 non poté
rinunciare alla nomina di vicario generale dell'arcidiocesi perugina e
direttore del seminario.
A Perugia rimase fini al 1932 quando fu nominato
vescovo
della Diocesi di S. Ubaldo, consacrato il 29 giugno nella basilica di S.
Lorenzo a Perugia, fu trionfalmente accolto a Gubbio il 14 agosto.
Per oltre 32 anni guidò la nostra
diocesi fino alla morte che avvenne il 14 gennaio 1965 a Gubbio dove è sepolto,
ricordato e sempre amato dal popolo eugubino.
In questi 32 anni tante furono le sue
iniziative: riallacciò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale anche i
legami con la cittadina francese di
Thann
favorendone la firma del gemellaggio ufficiale nel 1958. Per ben tre volte fu
chiamato come
"crematores"
(1946, 1951 e 1961) ad accendere un abete durante le festa
dedicata a S. Ubaldo nella città Alsaziana.
Ha voluto celebrato l'8° centenario della morte di
S.
Ubaldo, nel 1960, "in modo che riesca degna delle tradizioni
religiose e civili di quella che si gloria chiamarsi la Diocesi di S.Ubaldo".
Ha partecipato al
Concilio Ecumenico Vaticano II
A Gubbio, nel 1944, il vescovo ha vissuto insieme con
il suo popolo la tragedia della
strage dei 40 Martiri.
Quella
tragica mattina del 22 giugno
2014 quaranta eugubini morirono sotto i colpi dell’esercito nazista (Vedi)
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Riportiamo direttamente da diario del Vescovo:
"Il 22 mattina, verso le 6,30 o 6,45, mentre mi preparavo per la Santa Messa
in cappella, sentii bussare alla porta dell'Episcopio e un clamore di voci
femminili. Erano povere donne tutte spaventate che chiamavano il vescovo perché
si recasse al Comando tedesco. Che era successo? Hanno fucilato i loro uomini?
Non lo dicono ma lo temono. Corsi subito accompagnato dal canonico Braccini.
Incontro donne piangenti che corrono qua e là come pazze. Cerco il dottor De
Langer, abitante in via Cairoli, perché mi faccia da interprete e mi porto
all'albergo San Marco, dove vengo introdotto dal Comandante. Non era più quello
dei giorni precedenti. Mi dissero che era arrivato durante la notte e che si
accingeva ad andare a riposare. Pareva una faccia meno diabolica del primo.
Impassibile ascolta la mia preghiera di liberare gli ostaggi e l'assicurazione
che io ripetevo che in città non c'erano "ribelli" da far temere conflitti.
Rispose che se non fosse successo niente non ci sarebbe stato altro. Che
significava ciò? Mi sentii lì per lì sollevato. Ma poi il Comandante continuò a
parlare in tedesco all'interprete. Vidi rabbuiarsi la faccia del dottor De
Langer, il quale esitava a tradurmi il discorso. Poi, sollecitato da me, con
voce quasi spenta disse: ha detto che questa mattina sono state fucilate
quaranta persone, tra cui due donne... Mi sentii un tuffo al cuore. Ebbi appena
la forza di chiedere il permesso di mandare da mangiare agli ostaggi, che per
tutta la giornata del 21 erano rimasti senza mangiare, permesso che mi fu
concesso.
Io mandai il padre Gabriele Ardusso, che mi aveva raggiunto all'Albergo,
all'edificio scolastico per rassicurare gli ostaggi che mi occupavo della loro
liberazione e per portar loro la mia benedizione.
Le povere donne che si affollavano alla porta dell'albergo mi videro uscire a
testa bassa e dovettero leggere nel mio volto la tremenda verità. Alle loro
angosciose domande io non sapevo rispondere altro che stessero calme, affinché
non succedesse qualche cosa di peggio. Mi recai subito a celebrare nella mia
cappella la Messa in suffragio di quelle povere anime e poi uscii tosto facendo
il giro della città, raccomandando la prudenza e la calma alla gente che dalle
finestre e porte semichiuse chiedeva se vi fossero novità. Io mi limitavo a
dire: buoni, per carità, che non abbia a succedere qualche cosa di peggio! E
tutti intuivano che qualche cosa di grave doveva essere accaduto.
Siccome i tedeschi erano inquieti perché non c'era alcuna autorità civile e il
comune era chiuso, il conte Mancinelli da me incontrato per istrada mi disse che
avevano incaricato lui di fare da Commissario e mi chiese di aiutarlo.
Reclamavano materassi, tavole, sedie ecc. Ci demmo da fare e tutto fu trovato.
Incaricammo i vigili del fuoco di farne il trasporto, rassicurandoli che la loro
divisa sarebbe stata rispettata.
Intanto però continuavano le rapine e le violenze delle pattuglie tedesche di
via in via, di casa in casa. Era una cosa opprimente. Il terrore pesava come un
incubo sulla città dove nessuno osava circolare.
Ricordo un episodio che fra tante miserie di cui ha dato purtroppo lacrimevole
spettacolo la nostra gioventù femminile, nei suoi rapporti con soldati
stranieri, ci fa ancora credere nell'esistenza della virtù. Una giovane sfollata
da Ancona e abitante in via XX Settembre, venne quella mattina da me,
accompagnata da una signora. Mi raccontò che durante la notte, due soldati
tedeschi erano entrati di prepotenza nella sua camera e volevano ad ogni costo
violarla. Ella resistette, le vennero o si fece venire le convulsioni ... e con
questo si era salvata. Le avevano lasciata una carta da mille lire. L'aveva in
mano ma pareva che avesse paura di toccarla. Eccola, mi disse, la prenda Lei:
l'ho promessa a Sant'Ubaldo... Sono povera; non possiedo altro che l'onore e
quei bruti volevano togliermi anche quello! Le dissi parole di conforto e le
diedi commosso la mia benedizione.
Quella stessa mattina in cui io avevo circolato per la città senza alcun
sospetto, mi vedo arrivare in Episcopio la signora Olga Salciarini (il cui
marito avvocato Gaetano e il figlio Luigi io avevo messo in salvo la sera prima
avviandoli attraverso il mio orto verso il Monte di Sant'Ubaldo e di lì verso
Burano) la quale tutta preoccupata mi dice: stia attento, non esca... si dice
che i tedeschi l'hanno con Lei, che verranno a fare una ispezione in Episcopio
ecc. Tranquillizzai la signora, dicendole che io mi sentivo tranquillo... Ma
essa se ne andò con aria di mistero e tutt'altro che persuasa... Se portano via
Lei, la popolazione non ha più nessuno... Stia attento.
Non feci gran caso di ciò. Ma nel primo pomeriggio, mi ero appena coricato,
perché la testa non mi reggeva più, quando la signorina Maria Uccellani, dice al
mio cameriere che ha bisogno assolutamente di parlarmi subito. Fui chiamato di
fatti; e l'Uccellani mi ripeté che la signorina che faceva l'interprete coi
tedeschi aveva detto in presenza di parecchie persone che i tedeschi avrebbero
fucilato il vescovo. E si precisava: alle 3,30 del pomeriggio sarebbero venuti a
prendermi in Episcopio e alle 10,30 della stessa sera avrebbe avuto luogo la
fucilazione. E perché? Perché il vescovo, mentendo, aveva voluto discolpare i
cittadini di Gubbio dall'omicidio attribuendolo ad uno Slavo. Ringraziai la
signorina e dissi anche a Lei che stesse tranquilla, che forse si trattava di
chiacchiere e nient'altro.
Infatti di tutto questo fu nulla. Né io mi impressionai eccessivamente. Che
avevo da rimproverarmi io? Davanti alla minaccia di incendio della città e
dell'eccidio dei cittadini che ne sarebbe seguito, per salvare i 22 Ostaggi che
stavano per essere fucilati, avevo detto al Comandante tedesco che non potevo
ammettere che cittadini di Gubbio, buoni ed ospitali per tradizione, avessero
commesso quell'omicidio; e avevo fatto l'ipotesi di uno Slavo; che di Slavi
vaganti sui nostri monti coi cosiddetti ribelli si aveva avuto notizia. Né
d'altronde, quelli che poi risultarono gli autori dell'omicidio, mi erano allora
noti né di nome né di persona. La sola precauzione da me presa fu di avvisare
gli uomini che si erano rifugiati nel mio orto per nascondersi in una grotta
sotterranea, di allontanarsi per il pericolo che i tedeschi vi facessero un
sopraluogo".
Per ricordare la figura di Beniamino Ubaldi e
l'operato di un pastore amato come pochi dalla comunità di fedeli eugubini,
TRG ha dedicato una puntata speciale di "LINK"
a cura del direttore, Giacomo Marinelli Andreoli, dedicata proprio alla figura
di mons. Beniamino Ubaldi, con ospiti in studio, immagini d'archivio, interviste
e ricordi di un personaggio che ha segnato indelebilmente la storia cittadina
nel secolo scorso, eletto anche "Eugubino del secolo" dal periodico
"Gubbio oggi". In studio ospiti i sacerdoti don Ubaldo Braccini e
don Angelo
Fanucci, il giornalista Giampiero Bedini e il responsabile dell'ufficio beni
culturali della Diocesi, Paolo Salciarini. Contributi anche con interviste
all'attuale Vescovo Ceccobelli e al sindaco Stirati, e l'intervista
testimonianza del
Prof. Antonio Marionni che partecipò da interprete all'incontro tra
il Vescovo Ubaldi e il comando nazista alla vigilia della fucilazione dei 40
Martiri.
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Nel 1918, grazie al lavoro di F. Cece e A. Radicchi è stato
pubblicato anche il suo Diario della
Grande Guerra scritto negli anni in cui fu cappellano militare
durante il primo conflitto mondiale. Infatti in quegli anni annotò in sette
quaderni le sue memorie che, a cento anni dalla fine della Grande Guerra,
finalmente rivedono la luce.
Queste note ci restituiscono anche in modo drammatico, le
impressioni e le vicende che lo videro coinvolto. L'attività militare di don
Beniamino si può dividere in almeno tre periodi: il primo, da
maggio 1915 a gennaio 1916 quando arruolato, svolse alcuni incarichi a Roma in
attesa di destinazione; il secondo da gennaio 1916 a gennaio 1917, quando
fu cappellano militare del 129° reggimento fanteria ed il terzo da
gennaio 1917 a marzo 1919, periodo in cui fu assegnato, sempre come cappellano,
all'ospedaletto da campo n. 162. Il 22 marzo mise fine alla sua vita di guerra
durata "tre anni, nove mesi e ventinove giorni".
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